Culpa in vigilando e culpa in educando
Articolo redazionale di CA SERVIZI & CONSULENZE
Il D.Lgs 231/01 prevede che l’ente sia responsabile sia dei comportamenti posti in essere dai soggetti apicali che dei comportamenti posti in essere dai soggetti ad essi subordinati, con differenti configurazioni della responsabilità dell’ente stesso a seconda che si tratti di condotte riconducibili agli uni o agli altri.
In particolare, con riferimento ai reati commessi dai soggetti subordinati agli apicali, si è soliti parlare di “culpa in vigilando”: l’ente risponde in quanto la commissione del reato è stata possibile in seguito all’inosservanza degli obblighi di direzione e vigilanza dei vertici aziendali.
Orbene, a ben vedere, esiste un’ulteriore tipologia di colpa che può portare ad affermare la responsabilità ex D.Lgs. 231/01 dell’ente.
Chi scrive ritiene questa colpa si possa, efficacemente, definire come “culpa in educando”, ovviamente in un’accezione dedicata, esplicitamente, al D.Lgs. 231/01.
In primis, va detto che detta tipologia di colpa è da considerarsi del tutto autonoma e, allo stesso tempo, concorrente, con la menzionata “culpa in vigilando”.
Per introdurre questo tipo di colpa, potremmo dire che vigilare su chi non sa, esattamente, cosa può, non può, deve e non deve fare, è cosa, oltre che molto pericolosa, del tutto priva di senso, un po’ come dare le chiavi di una vettura ad alte prestazioni, di per sé in grado di funzionare perfettamente, a chi non abbia mai conseguito la patente: l’incidente e la conseguente responsabilità, in questo caso, spesso, risultano inevitabili.
Passando dalla metafora al dato normativo, notiamo, tuttavia, che il D.Lgs. 231/01 non affronta, quantomeno esplicitamente, il tema della formazione del personale.
A fronte di ciò, rileviamo, peraltro, che il testo normativo del citato Decreto, all’art. 6, lettera a), stabilisce che il modello organizzativo, per produrre un’efficacia esimente, deve essere adottato ed “efficacemente attuato” dall’organo dirigente dell’ente.
È di immediata evidenza che l’espressione “efficacemente attuato” ha un contenuto molto ampio ed articolato, che presuppone (anche) la necessità che i dipendenti dell’ente debbano essere adeguatamente formati, sia sulla responsabilità amministrativa degli enti in generale che sul modello organizzativo previsto nella propria, specifica, realtà lavorativa.
In difetto, si realizzerà una vera e propria culpa in educando, in grado di vanificare l’intero sforzo dell’ente per adeguarsi alla vigente normativa in materia di responsabilità ex D.Lgs. 231/01.
Qualora sussistessero residue perplessità sull’essenzialità dell’attività formativa, va ricordato che, sul punto, si è anche pronunciata, da tempo e a chiare lettere (“oltre ogni ragionevole dubbio”, potremmo dire), la giurisprudenza.
In particolare, non possiamo non ricordare, a tal proposito, l’ormai famoso “decalogo” del Tribunale di Milano, ossia l’ordinanza del 20 settembre 2004, con la quale vennero indicati quelli che erano e rimangono i requisiti essenziali per quell’efficace “attuazione del modello organizzativo” prevista all’art. 6, lettera a), del D. Lgs. 231/01.
Tra questi, si legge un esplicito riferimento anche all’attività formativa.
In proposito, il Tribunale di Milano afferma che il modello organizzativo non potrebbe ritenersi efficacemente attuato laddove “non si differenzia la formazione a seconda che la stessa si rivolga ai dipendenti nella loro generalità, ai dipendenti che operano in specifiche aree di rischio (..), non prevede il contenuto dei corsi, la loro frequenza, l’obbligatorietà della partecipazione ai programmi di formazione”.
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L’attività formativa deve essere quindi prevista all’interno del modello organizzativo ed è opportuno dedicare ad essa un’apposita sezione, indicando, quantomeno in generale, i contenuti delle sessioni formative e le tipologie di dipendenti ai quali esse saranno rivolte, differenziandone i contenuti per fasce e/o settori di appartenenza.
La divulgazione del modello organizzativo e del codice etico all’interno dell’ente è dunque condizione necessaria, ma non sufficiente, ai fini dell’efficace attuazione del modello organizzativo: per la sua efficace attuazione è necessario anche rendere effettivo, efficace e personalizzato il momento formativo, per non incorrere in culpa in educando.
All’informazione deve infatti seguire, inderogabilmente, la formazione del personale:
- Obbligatoria: l’azienda deve organizzarla e i dipendenti devono partecipare all’attività formativa, eventualmente con sessioni di recupero ove non abbiano potuto partecipare alla sessione principale;
- Formalizzata: deve risultare agli atti dell’ente un’idonea documentazione scritta della partecipazione dei singoli interessati ai corsi, dell’oggetto delle sessioni formative e del materiale e del metodo formativo utilizzato.
- Personalizzata: è infatti impensabile, specie nelle realtà aziendali complesse, offrire una formazione indifferenziata per tutti i settori ed i livelli aziendali (ricordiamo che, ai sensi del D.Lgs. 231/01, i reati presupposto possono trovare origine nella condotta di numerosi soggetti operanti, a vario titolo, per l’azienda, dalle funzioni di primo livello alle funzioni di vertice).
Inoltre, è opportuno che venga data oggettiva evidenza della comprensione di quanto è stato oggetto dell’attività formativa, con test di valutazione, tendenzialmente contestuali per i concetti base e non contestuali per i concetti più articolati e complessi, meglio se strutturati, quantomeno inizialmente, sul dato normativo oggettivo e con risposte multiple.
Nell’esperienza di chi scrive, come componente di O.d.V e come formatore in materia di D.Lgs. 231/01, il vincolare i test di verifica al dato normativo, oltre a garantire l’oggettività del quesito e della relativa risposta, incentiva i discenti a “fare propri” gli “strumenti fondamentali” della materia, per poi essere pronti ai successivi approfondimenti, che potranno essere proposti in varia forma e misura, a seconda del ruolo occupato in azienda.
L’attenzione può altresì essere stimolata, in occasione dei corsi, con “assaggi” di quelli che saranno i quesiti di verifica, ovviamente avendo cura di evitare, in corso d’opera, le tematiche più complesse, affrontabili solo dopo uno studio più approfondito.
Naturalmente, vanno previsti eventuali interventi chiarificatori dei docenti sugli errori commessi nei test e una sessione “di recupero” per i dipendenti che non hanno raggiunto la richiesta soglia di risposte corrette.
L’importanza di un’efficace formazione del personale, del resto, è stata sottolineata, oltre che a livello giurisprudenziale, anche nelle linee guida di Confindustria in materia, allorché auspicano che “sia sviluppato un adeguato programma di formazione rivolto al personale delle aree a rischio, appropriatamente tarato in funzione dei livelli dei destinatari”.
L’attività formativa del personale dovrebbe iniziare nel momento immediatamente successivo all’adozione del modello organizzativo, senza ritardi di sorta.
Successivamente, dovrebbe essere riproposta a tutti i nuovi assunti e in occasione di cambiamenti rilevanti nell’organizzazione aziendale o di modifiche legislative di rilievo (prime fra tutte: l’introduzione di nuovi reati-presupposto), circostanze che, inoltre, imporranno anche la revisione del modello organizzativo, pena la sua inadeguatezza.
La formazione potrà essere attuata in aula o a distanza.
La formazione a distanza (c.d. “on line”) può raggiungere persone che si trovano in luoghi fisicamente lontani (si pensi alle grandi società con ampia dislocazione sul territorio o a società che, comunque, vogliano usufruire di un servizio di qualità senza dover spostare il personale).
La formazione a distanza, inoltre, ha un vantaggio veramente notevole: l’ente potrà attivarla “on demand” in ogni momento, magari “bruciando i tempi” di un adempimento, non solo formale ma anche sostanziale, oramai del tutto imprescindibile per le realtà aziendali modernamente organizzate.
Le apparenti controindicazioni potrebbero essere la mancanza di riscontro con il docente e la non assoluta certezza che la persona che sta seguendo il corso on line sia effettivamente quella che dovrebbe seguirlo: detti inconvenienti, peraltro, sono in varia misura ovviabili a seconda che ci si rivolga o meno ad un soggetto formatore con una valida esperienza in materia e una piattaforma formativa modernamente strutturata.
La formazione tradizionale in aula, consente, d’altro canto, un’efficace interazione con i formatori e un dibattito che, di norma, fa emergere le reali criticità dell’azienda in cui i dipendenti si trovano, concretamente, ad operare.
Per quanto riguarda la scelta dei docenti del corso di formazione, non ci sono regole predefinite, ma, avuto riguardo all’esperienza pratica, vediamo che la formazione viene, di fatto, attuata da:
- I consulenti esterni che hanno seguito il lavoro di redazione del modello organizzativo (che, se il modello è realmente frutto di una preventiva, approfondita, analisi dell’azienda, non saranno solo degli astratti conoscitori della materia ma anche, soprattutto, dell’ambiente lavorativo in cui il modello dovrà dimostrare tutta la propria efficacia)
- I consulenti esterni con una competenza specifica nella implementazione di MOGC tardivi; ciò in quanto detta attività comporta una vera e propria “full immersion”, a 360 gradi, nelle ipotesi “patologiche” e nelle soluzioni “terapeutiche” che possono scaturire dalla non applicazione e dall’applicazione tardiva del D.Lgs 231/01
- I referenti aziendali interni dotati di idonee competenze (ad esempio, il responsabile dell’ufficio legale aziendale, ove questo sia presente)
- Uno o più componenti dell’O.d.V; detta opzione, quantomeno in molte realtà aziendali, è assai proficua, in quanto, da un lato si possono “sfruttare” le competenze multidisciplinari spesso presenti negli organismi di vigilanza collegiali e, da un altro lato, si ha anche l’occasione di far conoscere l’O.d.V a tutti i dipendenti, spesso anche con l’effetto, di assoluto rilievo, di agevolare i flussi informativi verso di esso
- Chi abbia maturato plurime esperienze, non solo teoriche, nella materia del D.Lgs. 231/01 (ad esempio chi abbia ricoperto il ruolo di formatore, componente dell’O.d.V e, magari, anche di consulente esterno per l’implementazione di MOGC tardivi)
Da ultimo va fatta una riflessione sulla valenza processuale della culpa in vigilando rispetto alla culpa in educando, con particolare riferimento al profilo della prova liberatoria: se dalla prima ci si potrà, evidentemente, variamente difendere, ben più difficilmente ci si potrà difendere dalla responsabilità di non aver adeguatamente formato chi lavora in azienda.
Articolo redatto da
Dott. Andrea Valentino
Presidente di O.d.V e formatore in materia di D.Lgs. 231/01
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